Breviario Grimani

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Breviarium secundum consuetudinem Romanae curiae, appartenuto ai Grimani
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, cod. Lat. I, 99 (=2138) - digitalizzazione completa visibile in Internet Culturale

Il Breviario Grimani (mm 280 x 195 circa) è uno dei più complessi codici prodotti nelle Fiandre, intorno al secondo decennio del XVI secolo.
Mostra un grande numero di raffinate miniature (50 a piena pagina, 18 figurate di dimensioni minori) e la decorazione è presente in tutti gli 832 fogli. Nelle immagini l’invenzione è ricca e a volte rivela un’iconografia inattesa.
Le numerose miniature si inseriscono al vertice qualitativo all’interno dei cataloghi degli artisti che vi hanno lavorato.

Il testo, un Breviario secondo i modi francescani come normalmente adottato all’epoca, è scritto in maniera regolare, per realizzare un prodotto di grande prestigio.
La storiografia artistica sta studiando gli interventi specifici dei vari miniatori, distinguendo le varie mani all’interno della raffinata fioritura fiamminga dell’epoca.

Si tratta di una produzione artistica caratterizzata dalla visione lenticolare e dall’attenzione ai dettagli, che si situa in un momento molto particolare nella storia della miniatura, in cui il disegno, la tecnica, i soggetti, la quantità e l’importanza della produzione sono molto vicini e paralleli tra la miniatura e la pittura su tavola.

Nel manoscritto, sul bordo del f. 81r e dunque in un luogo non particolarmente rilevante all’interno della sequenza di miniature, sono state inserite all’origine le armi di Antonio Siciliano, ciambellano di Massimiliano Sforza.

Nell’assenza di notizie riguardo alla committenza e alla destinazione del codice, è stata formulata l’ipotesi che l’ottimo manoscritto sia stato portato in Italia dal ciambellano e subito venduto al cardinale Domenico Grimani (1461-1523), che l’aveva certamente fra le sue mani già nel 1520.

Risale infatti a quell’anno, ossia poco oltre la probabile datazione del codice avanzata su considerazioni stilistiche, la prima notizia della proprietà da parte di Domenico Grimani del preziosissimo Breviario miniato gantobruggese, che giungeva a Venezia in un momento di grande apprezzamento per la pittura delle Fiandre.

Tuttavia, non conosciamo positivamente nulla riguardo alla prima storia del manoscritto che dovette essere concepito fin dall’inizio come una grande opera d’arte, che rivaleggiasse con le celeberrime Très riches heures in seguito note come del duca di Berry, capolavoro dei fratelli Limbourg (ora a Chantilly).

La parte più conosciuta del Breviario è il calendario iniziale, tutto figurato e, appunto, improntato sull’esemplare modello delle Très riches heures, caratterizzato dal naturalismo delle scene, e nel quale riconosciamo all’opera la mano già detta dell’Horenbout.

Nelle scene a piena pagina che sono collocate di fronte alle pagine del calendario di ciascun mese, anch’esse incorniciate con piccole scene di vita contemporanea, si vede una sequenza di quadri che ritraggono la vita contemporanea della corte e insieme della borghesia e del mondo contadino, come voleva la nuova stratificazione della società.

Furono soprattutto quelle scene (la magia della neve a gennaio, la tavola del banchetto del Signore, la scena di caccia, la luce notturna) a destare la meraviglia degli ambasciatori o dei reali in visita che poterono accedere al Tesoro della chiesa ducale di San Marco e poi agli oggetti più preziosi della Biblioteca Marciana, dopo la caduta della Serenissima.

Perché appunto, lasciato per testamento allo Stato veneziano, ma restato fra le mani degli eredi Grimani con alterne vicende sino al 1592, il fastoso manoscritto era stato poi conservato nel Santuario dello Stato veneziano, affidato alle cure di quegli stessi Procuratori che sovrintendevano alla Chiesa ducale, e in seguito nel vicino Tesoro della Cappella ducale.

Nel frattempo, nella seconda metà del Cinquecento, il codice era stato dotato degli ornati imetallici applicati sulla coperta in velluto rosso, come si usava per i volumi ufficiali, per quelli di maggiore prestigio e anche, come in questo caso, per segnare l’insigne appartenenza del codice.
Al centro del piatto anteriore è applicata, in forma di medaglia, l’effigie in profilo del cardinale Domenico Grimani (m. 1523); analogo, sul piatto posteriore, compare il ritratto di Antonio Grimani, doge dal 1521 sino alla morte nel 1523, e padre dello stesso Domenico.

Susy Marcon

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