1. La vita in laguna nell'alto Medioevo

Leggere il Medioevo veneziano, leggere la laguna

La vita in laguna nell’alto Medioevo
di Francesco Vallerani

Il particolare sito anfibio della Venezia alto medievale aveva già colpito i più attenti viaggiatori e osservatori di genti e luoghi fin dai tempi di Strabone.
Il che si inserisce nelle ben note stesure di geografie mitiche che vedono nel viaggio di Odisseo il più prestigioso antecedente.

Ma anche la diaspora troiana aveva stimolato l’elaborazione di altri avventurosi viaggi che si sarebbero conclusi con la scoperta di tranquille bocche fluviali da risalire, fino alla definitiva e rassicurante individuazione di un sito ideale per una nuova avventura umana: Enea e il Tevere, Antenore e il Brenta.
Quest’ultimo è strettamente legato al mito della fondazione di Patavium, i cui abitanti sono stati a loro volta menzionati da Tito Livio nella celebre battaglia anfibia contro lo spartano Cleonimo combattuta lungo l’incerto confine tra paludi costiere, foci fluviali con bassi fondali, spazi lagunari.

L’insediarsi di Venezia all’interno di una morfologia idraulica così dinamica necessita di una specifica cosmologia anfibia, in grado di esplicare i caratteri evolutivi, i cicli degli elementi primordiali acqua e terra, il ruolo delle maree, il mescolarsi di acque dolci e salate.
Una stabile presenza umana, e non solo in laguna, avvia un progressivo processo di sintesi tra uomo e natura che produce peculiari narrazioni in cui si consolida non solo una oggettiva immagine geografica, ma anche un condiviso patrimonio di significati e rappresentazioni culturali.

E in effetti quando Strabone accenna alla costa alto adriatica mostra una attenta consapevolezza della complessità geomorfologia su cui agisce il più incisivo e dinamico dei quattro elementi empedoclei: l’acqua.
Egli evoca quindi la necessità di controllo e regolamentazione dei deflussi, dedicando particolare attenzione alle maree, evidenziando che la regione dei Veneti è stata trasformata “mediante canali ed argini come nel Basso Egitto” e che esistono città “come isole” e che quelle “nella terraferma hanno collegamenti fluviali degni di ammirazione”.

Anche poco più a sud delle lagune venete una stabile e importante presenza antropica è costituita dalla “grande Ravenna, interamente costruita su palafitte, percorsa da corsi d’acqua e attraversata da ponti e da barche”, in cui si celebra il mito urbano della salubrità, ottenuta grazie all’efficacia di uno stabile potere politico che ha saputo “fare ordine” sul caos primevo, cioè riuscendo a separare le acque dalla terra.

Se da un lato le cosmologie geografiche elogiano la comprensione e la capacità di fare ordine sugli elementi naturali e dotare così le città anfibie di porti profondi, di canali navigabili, di estese banchine e di terreni solidificati per l’edilizia, nondimeno è vantaggioso il permanere di ampi settori allo stato naturale.
È questo il senso della descrizione dell’agro ravennate lasciataci da Procopio di Cesarea, in cui la morfologia anfibia attorno alla città costituisce un baluardo naturale che “non è di facile accesso per le navi, né pare lo sia neppure per le milizie di terra”.

È lo stesso autore che menziona la scelta strategica di utilizzare un percorso sublitoraneo, tra i lidi costieri e le paludi più interne.
Tale itinerario endolagunare si connette alla fase di regressione marina, documentata grazie all’accurata analisi sedimentologica consegnataci dal lavoro di Wladimiro Dorigo, che si mantiene fino circa al IX secolo. Il percorso nautico collegava Ravenna con Altino e via via i vari porti di entroterra fino ad Aquileia.
Nel VI secolo, sempre dalle analisi stratigrafiche, riprende l’ingressione marina, con la “complicità” di un evento calamitoso: l’alluvione del 589 che ha funestato tutta la bassa pianura, causando in particolare il mutamento del corso dell’Adige.

All’alba di Venezia più che di una efficiente e articolata civiltà idraulica, possiamo dedurre dalle fonti la presenza diffusa di modeste comunità anfibie, portatrici di saperi semplici, ma perfettamente adattati alla non facile morfologia idraulica.
È in questa fase storica che si elaborano specifiche competenze, che si accumulano adeguate conoscenze che consentono la realizzazione di interventi minimi, ma efficaci .
Si tratta di un patrimonio che riguarda la pesca, la navigazione, l’agricoltura, l’edilizia, l’alimentazione e di cui, nei secoli successivi, si potrà disporre di ricche documentazioni, trovando inoltre suggestive conferme e spunti per utili confronti anche nella recente ricerca etnografica svolta in consimili ambienti palustri lungo le coste del mondo.

Ecco che, in un’ottica postmoderna, il notissimo resoconto di Cassiodoro inviato ai Tribuni Marittimi ci affascina molto, come in genere ogni tecnologia arcaica, poiché costituisce una sorta di referenza mitica a realtà operative a basso impatto ambientale, rispettose della natura, ben adattate ed equamente accessibili.
Ne consegue che questo documento va letto al di là delle utili informazioni sul genere di vita lagunare preurbano.

Si tratta anche dell’evocazione di una territorialità mitica, quasi una visione edenica, da “età dell’oro”, ben sapendo che invece la realtà doveva essere piuttosto misera e insalubre.
Tuttavia da quest’ultima lettura si trovano significative consonanze con l’odierna riabilitazione etica e culturale dei patrimoni ambientali anfibi, così necessaria in questi nostri tempi dominati dalle grette e riduttive retoriche del “fare”, ad ogni costo, senza il pur minimo rispetto della complessa polifonia di conoscenze, affetti e percezioni che si dibatte inascoltata in ogni ambiente, e in particolare in quelli lagunari, i più vulnerabili tra tutti.

Introduzione ai testi di Tiziana Plebani

Com'era la laguna antica rispetto all'attuale? Chi la abitava?

I testi scelti per le letture teatrali descrivono l'estensione dell'antica laguna, il clima, l'influsso delle maree e la ricchezza di fiumi che vi sfociavano.
Le fonti si soffermano sulla particolarità di un sito che richiedeva volontà di adattamento, particolari abilità per viverci e l'impatto su queste terre delle ondate migratorie, a seguito della caduta dell'impero romano.

Giorgio Cracco nella nota preliminare al primo volume della recente Storia di Venezia ha scritto: “Non si può infatti eludere la semplice domanda – fatta di curiosità e di stupore – che chiunqe, viaggiatore di fama o anonimo turista, si pone giungendo sulla laguna al cospetto dell'inconsueta forma urbis: come è stato possibile il sorgere di una città siffatta. Se lo chiesero i Veneziani fin dai primi secoli della loro storia”  ( 1 ).

Le fonti di questo primo incontro non furono redatte da veneziani: la vita pulsava in laguna ma ancora non aveva voce autonoma: sono gli altri a raccontarla e a descriverla, è lo sguardo degli altri che ne illumina la vita, e la realtà quotidiana.

Se protagonisti di questo ciclo sono i testi medievali, tuttavia dovendo raffigurare la laguna non si poteva negare la parola al geografo dell'antichità classica, Strabone.
Molti altri autori antichi ne descrissero l'ambiente e le sue particolarità e, tra gli altri, Tito Livio, Polibio, Vitruvio e Plinio il Vecchio.

Del resto lagune e velme rappresentarono a lungo un luogo della meraviglia, una natura non manipolata dall'uomo e allo stesso tempo un sito liminare, al confine dell'umano, narrato da miti e leggende.
Al contempo la laguna veneziana, assai più ampia allora, costituì assai precocemente un importante incrocio di itinerari commerciali terrestri, fluviali e marittimi, snodo delle comunicazioni e delle rotte tra Oriente e Nord Europa.

 

1.  Giorgio Cracco, Nota preliminare, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, I. Origini- Età Ducale, a cura di Lellia Cracco Ruggini, Massimiliano Pavan, Giorgio Cracco e Gherardo Ortalli, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992, p. 1.

 

Per saperne di più

  • Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, I. Origini- Età Ducale, a cura di Lellia Cracco Ruggini, Massimiliano Pavan, Giorgio Cracco e Gherardo Ortalli, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992: su questo tema si vedano i contributi all'interno del volume di Giorgio Cracco, di Lellia Cracco Ruggini, Giovanni Uggeri, Massimiliano Pavan e Girolamo Arnaldi.
  • Luciano Bosio, Note per una propedeutica allo studio storico della laguna veneta in età romana, «Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 142 (1983-84), pp. 95-126.