Grado, Venezia, i Gradenigo

Biblioteca Marciana newsletter

numero 4 - estate 2001

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"Grado, Venezia, i Gradenigo"

Libreria Sansoviniana, 1 giugno - 22 luglio 2001

(Mostra in collaborazione con il Comune di Grado)

 

Disegno
Grado.
Archivio di Stato di Venezia,
Senato, Dispacci,
Rettori Palma,
filza 21, dis I, 1624
(particolare)

A.S.V., Senato, Dispacci, Rettori Palma, filza 21, dis I, 1624 (particolare) Dall'entroterra avanzavano i barbari, mettendo in pericolo gli insediamenti romani. Di fronte ai Longobardi, nel 569 il vescovo Paolo lasciò Aquileia, portando con sé le insegne e le reliquie, salvaguardando la parte fondante del Tesoro.
Si ritirò verso l'antico porto di Grado, verso quelle lagune dell'Adriatico settentrionale che si stavano popolando di quanti cercavano riparo dalle invasioni. Le nuove città costituiranno il ducato venetico. Grado ebbe la dignità di sede metropolitica, mentre il governo civile, collocato dapprima in luoghi diversi, ad Eraclea e poi a Malamocco, si fissò infine, verso Occidente all'interno delle lagune, a Rivoalto, destinato a diventare la potente Venezia.

L'esistenza di Rivoalto è attestata nell'810, quando vi si insediò il governo bizantino del ducatus Venetiae, ossia del territorio esteso da Grado a Cavarzere, mentre Aquileia apparteneva ormai all'impero carolingio. La centralità di Rivoalto fu sancita con la traslazione del corpo di Marco, nell'828.
Da Grado giunsero a Rivoalto, narrano variamente in seguito le Cronache, alcune delle principali famiglie che crearono la potenza di Venezia e nel cui seno furono eletti i primi tribuni e dogi. Tra quelle famiglie primeggiarono i Gradenigo, che ebbero una discendenza numerosa in Venezia, distinti in vari rami, con esponenti colti e facoltosi.

Un'eredità comune unisce dunque Grado e Venezia, dal sostrato tardo romano e paleocristiano alla cultura bizantina, alla filiazione aquileiese poi contraddetta dall'opposizione politica all'Impero d'Occidente. La sede patriarcale veneta di Grado si spostò più tardi a Venezia, dapprima di fatto, poi ufficialmente alla metà del Quattrocento.

Si tratta di un succedersi di vicende lungo le quali si affiancano culture diverse, come compare esposto esemplarmente dalla teoria delle figure, stanti, mosaicate nel luogo onorifico del catino absidale della cappella ducale veneziana intitolata a San Marco, dove sono raffigurati Nicola, Pietro, Marco, ed Ermagora, ossia i santi maggiormente venerati nell'Adriatico, nelle Venezie, nell'Istria e nella Dalmazia, nel Dogado.
Ermagora e Cristo benedicente sono raffigurati ieratici sull'oggetto prezioso che ha aperto l'esposizione, la magnifica Coperta di Evangeliario in argento dorato appartenente al Tesoro della cattedrale gradense di Sant'Eufemia, realizzata tra il Due e il Trecento secondo stilemi veneziani. Lungo il secolo della rinascita duecentesca, l'oreficeria veneziana era in grado di produrre un oggetto di stretta lezione bizantina come la sontuosa Coperta del Messale di San Marco, che nell'esposizione è stata affiancata alla Coperta gradense.

 

Copertina
Catalogo

La storia e le leggende narrate dalle Cronache veneziane presentano svariate versioni riguardo alla nascita della città e dunque al ruolo avuto da Grado. Primo in esposizione è comparso il prezioso esemplare duecentesco del cosiddetto Chronicon Altinate e Gradense conservato presso il Seminario Patriarcale di Venezia.
Si infittisce la tradizione delle Cronache venete fra Trecento e Quattrocento, nelle lezioni latine e nelle redazioni volgari. L'Istoria Veneticorum di Giovanni Diacono redatta, come sembra, intorno all'anno Mille, era presente nell'esposizione con una copia quattrocentesca, mentre la Cronaca di Andrea Dandolo, che ha dato vita ad una tradizione del testo vasta e contaminata in latino e in volgare, era il brogliaccio finale dell'autore stilato alla metà del Trecento.
Si è visto ben testimoniato in mostra il mondo multiforme del codice gotico, nelle sue varianti auliche, o correnti, o cancelleresche, che corrispondono ciascuna a diversi toni della narrazione, a generi differenti del racconto, a diversificate destinazioni.

L'esposizione ha rappresentato un'occasione unica per vedere accostate, e confrontabili, le caratteristiche formali in ambiti privilegiati come quelli delle Cronache e dei codici storici a soggetto araldico e genealogico.
La scrittura "moderna" formale duecentesca delinea vicende storiche, così come la cancelleresca è legata alle versioni ufficiali e di Palazzo. Esemplare a questo proposito il manoscritto miniato, strettamente coevo alla stesura del testo, della Cronaca di Raffain Caresini, dalla quale è tratta l'immagine del doge Giovanni Gradenigo riprodotta sul manifesto.

All'ambito formale e culturale della scrittura mercantesca veneziana, ancora poco approfondito dagli studi, appartengono le cronache narrative, per lo più redatte in volgare, epiche e gustose, la cui illustrazione si uniforma a quella delle epopee franche e romane volgarizzate.
Come non presentire poi l'Umanesimo nella voga dei veneziani colti di copiare codici per se stessi, quale attesta allo scadere del Trecento l'opera di scriba di Jacopo Gradenigo detto Belletto. Lungo il Cinquecento poi, e sino alla fine del dominio della Serenissima, non verrà mai meno il profondo interesse per la storia dei secoli passati, fondante per un presente mutevole.
Si afferma in una forma particolare in Venezia, tra il Quattro e il Cinquecento, la storia delle famiglie nobili narrata in breve e accompagnata dagli stemmi relativi.
Sino a tutto il Settecento continuano ad essere realizzati documenti calligrafici e miniati, legati alla vita politica della città e dunque ad esponenti della nobiltà veneziana. Poiché la storia di Venezia è quella delle sue famiglie, si è illustrata esemplarmente la stirpe numerosa dei Gradenigo, per cui si vollero origini romane onorificanti, e li si disse inoltre venuti da Aquileia e fondatori di Grado.

Susy Marcon