Scuole di lettura in biblioteca 2001 Letture a cura di Maria Pia Colonnello Documento 1 ...In questo discorso si vuole unicamente affermare, con l’appello alla storia, che noi non possiamo non riconoscerci e non dirci cristiani, e che questa denominazione è semplice osservanza della verità. Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all’Oriente e all’Egitto. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l’uomo, l’anima stessa dell’uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo. La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità. Gli uomini, i geni, gli eroi, che furono innanzi al cristianesimo, compierono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana. [B. Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, Bari 1959, pp. 5-6] Documento 2 EUSEBIO DI CESAREA, Vita di Costantino I, 4-6 …Anche Dio stesso, da Costantino sempre venerato, diede conferma di tutto ciò con evidenti segni, ponendosi propizio al suo fianco al principio, durante e alla fine dell’impero, e fu Dio che propose al genere umano Costantino quale maestro esemplare di pietà religiosa; e lui, unico tra quanti mai imperatori si sia avuta da sempre memoria, su tutti innalzò, simile ad una grandissima stella e ad un araldo che con voce potente annuncia la vera religione, e, col procurargli ogni sorta di beni, a lui solo Dio mostrò i pegni che la sua fede gli aveva meritati. Fu così che lo onorò con la durata di tre interi decenni di impero e fissò il limite della sua vita tra gli uomini in un numero di anni doppio rispetto a quelli del suo regno. E offrendo l’immagine del proprio potere sovrano, lo designò vincitore di tutta la genia dei tiranni e distruttore dei sacrileghi giganti che, spinti da animo folle e temerario, avevano innalzato contro Dio stesso, signore di tutto l’universo, le armi dell’empietà. Ma costoro, in men che non si dica, nello stesso istante in cui apparvero furono annientati, perché Dio, che è uno e solo, munì di armi divine il suo servo, unico contro molti, liberò per mezzo suo la vita umana dalla moltitudine degli empi e fece di Costantino un maestro di fede nella propria Persona, un maestro che a gran voce testimoniò agli orecchi di tutti di conoscere il vero Dio e di detestare l’orrore delle false divinità. E da servitore fedele e buono questo egli sempre fece e sempre annunciò, dichiarandosi apertamente schiavo e riconoscendosi servo del re dell’universo. Dio subito lo ripagò e lo rese signore, padrone e vincitore, lui solo, tra quanti imperatori siano mai esistiti, insuperabile e invincibile, eternamente vittorioso e costantemente adorno dei trofei conquistati contro i nemici, imperatore tale quale nessuno a memoria d’uomo ricorda esservene stati altri nei tempi passati, tanto caro a Dio e beatissimo, tanto pio e felice, da estendere con grande facilità il proprio dominio su molti più popoli che non i suoi predecessori, e da condurre a compimento senza molestia alcuna il suo impero, fino alla fine. [Traduzione da G. Bosio – E. dal Covolo – M. Maritano, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli III - IV, Torino 1993, pp. 200-201]. Documento 3 EUSEBIO DI CESAREA, Vita di Costantino III,47, 4- 50,2 ... In questo modo, dunque, l’imperatore fondò in Palestina i pregevoli edifici di cui si è parlato prima. Con la costruzione di nuove chiese rese inoltre di gran lunga più nobili ed illustri di prima tutte le altre province. Desiderando insignire dei più grandi onori la città che aveva il suo stesso nome, la adornò con numerosissimi oratori, con grandiosi santuari dedicati ai martiri e con splendide chiese, alcune delle quali furono costruite nei sobborghi, altre nel centro stesso della città: con queste opere rendeva onore alle tombe dei martiri, e nel medesimo tempo consacrava la sua città al Dio per il quale i martiri stessi avevano sacrificato la loro vita ... Nelle fontane collocate al centro delle piazze avresti potuto piuttosto ammirare le statue del “Buon Pastore”, ben note a quanti si lasciano guidare dalle Sacre Scritture, e “Daniele con i leoni”, la cui immagine, foggiata in bronzo, era resa splendente da lamine dorate ... Questi furono gli edifici con cui Costantino adornò la sua città. Parimenti, con la dedica di una grandissima e mirabile chiesa, rese omaggio anche alla capitale della Bitinia e, attingendo al suo patrimonio personale anche in questa città eresse edifici in onore del suo Salvatore, a ricordo delle vittorie conseguite sugli empi nemici. Anche le città più importanti delle altre province furono da lui rese illustri grazie ai pregevoli oratori che vi fece costruire; e questo fu, per esempio, anche il caso della metropoli orientale che prese il nome da Antioco. [Traduzione di L. Tartaglia, Sulla vita di Costantino, Napoli 1984, pp. 148-149] Documento 4 EUSEBIO DI CESAREA, Vita di Costantino IV,36, 1-4 Lettera di Costantino ad Eusebio In Costantinopoli, con l’aiuto provvidenziale di Dio, nostro Salvatore, un’enorme massa di gente si è votata alla santissima chiesa, e poiché in quella città tutto si incrementa ad un ritmo vertiginoso, è sembrato quanto mai opportuno farvi costruire anche un cospicuo numero di chiese. Accogli, dunque, con il miglior favore la decisione che è scaturita dalla nostra volontà. Ci è parso infatti conveniente comunicare alla tua saggezza il desiderio che tu provveda a far trascrivere da copisti espertissimi nell’arte calligrafica cinquanta volumi in pergamena pregiata, chiaramente leggibili e facili da spostare per l’uso (beninteso, cinquanta volumi delle Sacre Scritture), il cui allestimento ed impiego tu ben sai essere della massima utilità per le necessità della Chiesa ... Quanto al loro trasporto, in forza dell’autorità che proviene da questa nostra lettera, ti è concessa la facoltà di utilizzare due carri della posta pubblica. In questo modo, quei volumi elegantemente vergati saranno condotti molto agevolmente dinanzi ai nostri occhi e a questo compito provvederà ovviamente un diacono della tua chiesa. [Traduzione di L. Tartaglia, Sulla vita di Costantino, Napoli 1984, pp. 185-186] Documento 5 EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica III, 37, 2-3 In quel tempo, molti cristiani sentivano la propria anima, in virtù del Verbo divino, sconvolta da un violento amore per la perfezione. Incominciavano col seguire il consiglio del Salvatore e distribuirono il loro bene ai poveri; poi, lasciando la patria, andavano ad adempiere la missione di evangelisti, con il desiderio di predicare a quelli che non avevano ancora udito la parola della fede e di trasmettere loro i libri dei divini evangeli. Si limitavano a porre le fondamenta della fede in qualche paese straniero, e poi istituivano altri pastori con il compito di coltivare quelli che essi avevano iniziato alla fede. Dopo di che partivano di nuovo alla volta di altri paesi e di altre nazioni con la grazia e il soccorso di Dio. [Traduzione da J. Danièlou - H. Marrou, Nuova storia della Chiesa. I. Dalle origini a San Gregorio Magno, Genova 19944, p. 335] Documento 6 A Diogneto 5-6 I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio né per lingua o abiti. Essi non abitano in città proprie, né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano. La loro dottrina non è frutto di considerazioni ed elucubrazioni di persone curiose, né si fanno promotori, come alcuni, di una qualche teoria umana. Abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è toccato, uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita. Abitano nella loro patria, ma come stranieri, partecipano a tutto come cittadini, e tutto sopportano come forestieri; ogni terra straniera è la loro patria e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti, generano figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, eppure vengono condannati; sono uccisi, e tuttavia sono vivificati. Sono poveri e arricchiscono molto; mancano di tutto e di tutto abbondano. Sono disprezzati, ma nel disprezzo acquistano gloria; vengono bestemmiati e al tempo stesso si rende testimonianza alla loro giustizia. Vengono oltraggiati e benedicono; sono insultati, e invece rendono onore. Benché compiano il bene, vengono puniti come malfattori; benché puniti, gioiscono, come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri e dai greci sono perseguitati, ma chi li odia non sa spiegare il motivo della propria avversione nei loro confronti. Insomma, per dirla in breve, i cristiani svolgono nel mondo la stessa funzione dell’anima nel corpo. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo; anche i cristiani sono sparsi per le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; anche i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è imprigionata nel corpo visibile; i cristiani, essendo nel mondo, sono visibili, ma il culto che rivolgono a Dio rimane invisibile. La carne odia l’anima e la combatte, pur senza ricevere alcune ingiustizie, perché le impedisce di abbandonarsi ai piaceri; anche i cristiani sono odiati dal mondo, benché non gli facciano alcun torto, perché si oppongono ai piaceri. L’anima ama la carne e le membra che la odiano, come i cristiani amano chi li odia. L’anima, che pure sostiene il corpo, è rinchiusa in esso; anche i cristiani, pur essendo il sostegno del mondo, sono imprigionati in esso come in un carcere. L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri fra ciò che è corruttibile, mentre aspettano l’incorruttibilità celeste. Con le mortificazioni nel mangiare e nel bere, l’anima diventa migliore; i cristiani, benché perseguitati, diventano ogni giorno di più. Dio ha assegnato loro un posto così sublime, e a essi non è lecito abbandonarlo. [Traduzione da M. Simonetti – E. Prinzivalli, Letteratura cristiana antica. 1. Dalle origini al III secolo, Torino 19982, pp. 171-173] Documento 7 TERTULLIANO, Apologetico 42, 1-3 Un’altra imputazione ci viene rivolta: siamo ritenuti improduttivi all’economia del paese. Ma in qual modo potrebbero esserlo degli uomini che vivono insieme a voi, prendendo il vostro stesso cibo, portano gli stessi abiti, ricevono la stessa istruzione, hanno le stesse necessità di vita?…….Ci ricordiamo bene della gratitudine che dobbiamo a Dio nostro Signore e Creatore, e non ripudiamo nessun frutto delle sue opere; solamente ci guardiamo dal valercene smoderatamente o abusivamente. Ed è per questo che coabitiamo con voi in questo mondo frequentando il foro, il macello, i bagni, le botteghe, i magazzini, le stalle, le fiere e tutti gli altri luoghi di commercio. Navighiamo con voi, e con voi prestiamo il servizio militare, coltiviamo la terra, commerciamo; ed egualmente scambiamo con voi i prodotti delle arti e mettiamo a vostra disposizione il nostro lavoro. No so proprio, quindi, come possiamo apparire inutili per i vostri affari in mezzo ai quali e dei quali viviamo. [Traduzione da L. Rusca, Apologia del cristianesimo, Milano 1984, pp. 269-271]. Documento 8 Lettera di Plinio all’Imperatore Traiano (Ep. X, 97) ... Mi fu presentata un'accusa anonima, che conteneva i nomi di molti accusati. Quelli che dicevano di non essere e di non essere stati cristiani, se, seguendo il mio esempio, invocavano gli dei e supplicavano con incenso e vino alla tua statua; ...se, inoltre, maledicevano Cristo, pensai che dovessero essere assolti, perché si dice che quelli che sono effettivamente cristiani non li si può costringere a fare nessuna di tutte queste cose. Altri, indicati dalla denuncia, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; dissero di esserlo stati, è vero, ma di aver smesso di esserlo, chi due anni prima, chi anche oltre; alcuni anche venti anni prima. Anche tutti questi venerarono la statua e l’immagine degli dei e maledissero Cristo. Tuttavia dicevano che la loro colpa o il loro errore, tutto sommato, era consistita nell’abitudine di riunirsi in un certo giorno, prima dell’alba, e di cantare un canto a Cristo, che essi ritenevano Dio, e di obbligarsi reciprocamente con giuramento non a commettere qualche delitto, ma a evitare ogni furto, ogni rapina, ogni adulterio; a non mancare di parola, a non rifiutare di restituire il deposito, se non ne venivano richiesti. Una volta compiuti questi riti, essi avevano l’abitudine di dividersi e di riunirsi di nuovo per prendere un cibo, un cibo comune e innocente, tuttavia. Essi avevano smesso di fare tutto questo dopo il mio editto, nel quale avevo proibito tutte le società segrete... Ancor di più, quindi, pensai che fosse necessario investigare che cosa ci fosse di vero in tutto questo, mettendo anche alla tortura due schiave, che si diceva fossero state ministre di queste riunioni. Ma non ho trovato nient’altro che una superstizione malvagia e fuor ogni misura. Per questo motivo, rimandata l’inchiesta ad un secondo momento, mi sono precipitato a consultarti. Mi sembrava che la cosa richiedesse un tuo parere, soprattutto a causa del gran numero di coloro che corrono il rischio di essere condannati; sono accusate, infatti, e saranno accusate molte persone di ogni età, di ogni ordine sociale, dell’uno e dell’altro sesso. E non soltanto nelle città, ma anche nei villaggi e nei campi si è diffuso il contagio di questa superstizione... Documento 9 Rescritto dell’Imperatore Traiano a Plinio Nell’esame delle cause di coloro che ti venivano denunciati come cristiani ti sei comportato come era opportuno, mio caro Plinio. In effetti, non si può stabilire una regola precisa che abbia valore universale e che possegga, se così si può dire, la funzione di una norma. Non bisogna ricercare i cristiani; se ti vengono portati in giudizio e se vengono accusati in tua presenza, debbono essere puniti, con la limitazione, tuttavia, che se uno negherà di essere cristiano e se renderà manifesta questa sua dichiarazione comportandosi di conseguenza, vale a dire, supplicando ai nostri dei, costui, sebbene sia stato sospettato per quanto riguarda il suo passato, possa ottenere perdono in seguito alla sua penitenza. Però le accuse anonime non debbono avere nessun peso in questi processi, perché tali procedimenti costituiscono un pessimo esempio e non si confanno con la morale della nostra epoca. Documento 10 EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica VIII, 17, 6-10 Editto del 311 Con gli altri editti che abbiamo emanato per il bene e la prosperità dello Stato, noi avevamo cercato di riformare ogni cosa secondo le antiche leggi ed i pubblici ordinamenti di Roma, e di far sì che i cristiani, i quali avevano abbandonata la religione dei loro padri, ritornassero a migliori consigli. Infatti, erano giunti a tal segno di follia da non osservare più le tradizioni degli antichi, ma secondo le disposizioni e il capriccio di ciascuno si costituivano leggi e le osservavano e in diversi luoghi tenevano assemblee diverse. Ed avendo noi pertanto promulgato un editto, perché essi ritornassero ai costumi dei loro padri, molti si sottomisero vedendo il pericolo e molti furono puniti. Ma poiché la maggior parte di loro persistono nella loro ostinazione e vediamo che essi né adorano gli dei celesti, né sono fedeli al Dio dei cristiani, noi, per impulso della nostra mitissima clemenza e in ossequio alla consuetudine per la quale siamo soliti perdonare tutti gli uomini, abbiamo creduto di concedere anche a costoro il nostro perdono. I cristiani pertanto possono di nuovo esistere e riedificare le case dove terranno le loro assemblee, purché non facciano nulla che sia contrario alle leggi... In cambio del nostro atto di clemenza i cristiani dovranno pregare il loro Dio per il bene nostro, per quello dello Stato e per il loro bene, perché la cosa pubblica sia prospera e perché essi possano vivere senza preoccupazione presso i loro focolari. [Traduzione adattata di G. Del Ton, Storia ecclesiastica. I martiri della Palestina, Roma –New York 1964, pp. 674-676] Documento 11 EUSEBIO DI CESAREA, Storia. ecclesiastica X, 5, 4. 6. 9-10 Editto del 313 Noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendo felicemente convenuti a Milano per trattare di tutto ciò che riguarda l’interesse e la sicurezza dell’impero, pensammo che tra le cose che esigevano maggiormente l’opera nostra nessuna avrebbe portato tanto vantaggio alla maggior parte degli uomini, come il decidere in qual modo si debba onorare la divinità. Perciò abbiamo stabilito di accordare ai cristiani e a tutti gli uomini la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, dia pace e prosperità a noi e a tutti i nostri sudditi …. È necessario, dunque, che si sappia come noi vogliamo siano soppresse le restrizioni precedenti a proposito dei cristiani, tutte poco favorevoli ed aliene dalla nostra clemenza…. Riguardo ai cristiani ordiniamo che se i luoghi dove essi avevano l’uso di radunarsi sono stati in passato alienati o dal fisco o da qualche privato, subito, senza esigere denaro e senza alcun rimborso del prezzo di acquisto, senza indugi o cavilli, vengano restituiti ai cristiani. Coloro poi che questi luoghi avessero ricevuto in dono, debbono quanto prima restituirli ai cristiani. E i proprietari di questi luoghi, sia che li abbiano acquistati, sia che li abbiano ricevuti in dono, i quali domandano alla nostra generosità qualche compenso per la cessione, si rivolgano al tribunale del magistrato locale, in modo tale che anche loro possano essere avvantaggiati dalla nostra clemenza. Tutto deve essere però riconsegnato alla corporazione dei cristiani....E poiché gli stessi cristiani hanno avuto non soltanto locali dove erano soliti adunarsi, ma anche altri luoghi che appartenevano non a singoli individui, ma alla comunità intera dei cristiani, in riferimento alla legge suddetta, tutto sia restituito senza alcuna recriminazione ai cristiani, come singoli individui e come comunità. [Traduzione adattata di G. Del Ton, Storia ecclesiastica. I martiri della Palestina, Roma –New York 1964, pp. 770-772] Documento 12 Lettera di Osio di Cordova all’imperatore Costanzo (anno 356) ... Smettila, ti prego, e ricordati che sei un uomo mortale; temi il giorno del giudizio, conservati puro per allora. Non immischiarti nelle questioni della Chiesa e non darci ordini in questo campo, ma trai tu stesso insegnamento da noi. A te Dio ha posto nelle mani l’impero, a noi ha affidato le cose della Chiesa. Come chi cerca di sottrarti il potere si oppone al volere di Dio, così abbi timore di incorrere anche tu in una grave accusa, prendendo su di te gli affari della Chiesa. Sta scritto: “Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio (Mt. 22,21)”. Né dunque è lecito a noi governare la terra, né tu, o sovrano, hai la potestà di offrire incenso. Scrivo queste parole, pertanto, preoccupandomi della tua salvezza ... Trattieniti, e non prestare ascolto a uomini malvagi, per non renderti colpevole a causa degli obblighi reciproci. Di questo dovrai giustificarti da solo il giorno del giudizio ... [Da E. Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, (traduzione italiana di V. Verdiani), Milano 2000, pp. 160-161] Documento 13 Editto di Tessalonica (Cod. Iust. I,1) ... Tutti i popoli che sono retti dalla moderazione della nostra clemenza, vogliamo che restino fedeli a quella religione che il divino apostolo Pietro dichiara che fu tramandata un tempo da lui stesso ai Romani, e che è chiaro che è seguita dal pontefice Damaso e da Pietro vescovo di Alessandria... Ordiniamo che il nome dei cristiani cattolici abbracci coloro i quali seguono questa legge, mentre gli altri pazzi e insensati, che giudicano opportuno sostenere l’infamia del dogma ereticale e non dare alle comunità il nome di chiese, devono essere colpiti dalla punizione, in primo luogo dalla vendetta di Dio e poi anche dal nostro sdegno, che abbiamo assunto dalla volontà celeste. [Da E. Wipszycka, Storia della Chiesa nella tarda antichità, (traduzione italiana di V. Verdiani), Milano 2000, p. 153] Documento 14 GIROLAMO, Commento a Ezechiele 12,40 …Quando ero ragazzo, a Roma, e venivo educato agli studi liberali, ero solito visitare di domenica, con altri compagni animati dallo stesso interesse, le tombe degli apostoli e dei martiri. Spesso entrai anche nelle cripte, scavate in profondità nel terreno, dove i corpi dei martiri erano allineati lungo i muri da entrambe le parti e dove tutto è così scuro che sembra quasi che si realizzino le parole del Salvatore “Scendano i vivi giù nell’inferno” (Ps. 55,15). Qua e là, la luce, che non entra da finestre bensì filtra giù dall’alto attraverso i lucernari, attutisce l’orrore dell’oscurità. Ma non appena ci si muove cautamente in avanti, di nuovo è la notte nera che ci circonda e ci sovviene il verso di Virgilio “Dovunque orrore e silenzio atterriscono l’animo” (Aen. 2,755). Documento 15 GREGORIO DI TOURS, Storia dei Franchi II, 31 … Allora la regina comanda di nascosto al santo Remigio, vescovo della città di Reims, di presentarsi, pregandolo d’introdurre nell’animo del re la parola della vera salvezza. Giunto presso di lui, il vescovo cominciò con delicatezza a chiedergli che credesse nel Dio vero, creatore del cielo e della terra, che abbandonasse gli idoli, i quali non potevano giovare né a lui, né ad altri. Ma Clodoveo rispondeva: “Io ti ascoltavo volentieri, santissimo padre; ma c’è una cosa: l’esercito, che mi segue in tutto, non ammette di rinunciare ai propri dei; eppure, egualmente, io vado e parlo a loro secondo quanto mi hai detto”. Trovatosi, quindi, con i suoi, prima che egli potesse parlare, poiché la potenza di Dio l’aveva preceduto, tutto l’esercito acclamò all’unisono: “Noi rifiutiamo gli dei mortali, o re pio, e siamo preparati a seguire Dio che Remigio predica come immortale”. E annunciano queste decisioni al vescovo che, pieno di gioia, comandò che fosse preparato il lavacro… Le chiese vengono adornate di drappi bianchi, si prepara il battistero, si spargono profumi, ceri fragranti diffondono aromi particolari e tutto il tempio del battistero è soffuso di una essenza quasi divina… Allora il re chiede di essere battezzato per primo dal pontefice. Si avvicina al lavacro come un nuovo Costantino, per essere liberato dalla lebbra antica, per sciogliere in un’acqua fresca macchie luride createsi lontano nel tempo. E quando Clodoveo fu entrato per il battesimo, il santo di Dio così disse con parole solenni: “Piega mite il tuo capo, o Sicambro; adora quello che hai bruciato, brucia quello che hai adorato”… Così il re confessò Dio onnipotente nella trinità, fu battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo e venne segnato con il sacro crisma del segno della croce di Cristo. Del suo esercito, poi, ne furono battezzati più di tremila. Fu battezzata anche sua sorella Albofleda, che non molto tempo dopo migrò a Cristo… Poi si convertì anche l’altra sorella di Clodoveo, di nome Lantechilde, che era caduta nell’eresia degli ariani, e fu battezzata dopo aver confessato che il Figlio è uguale al Padre e allo Spirito Santo. [Traduzione da G. Bosio – E. dal Covolo – M. Maritano, Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli V –VIII, Torino 1999, pp. 96-97]. Documento 16 ELIO LAMPRIDIO, Vita di Alessandro Severo 29,2 Il suo regime di vita era il seguente. Per prima cosa se poteva farlo, cioè se non aveva dormito con la moglie, celebrava il culto divino nelle prime ore del mattino nel suo larario, in cui teneva, insieme ai ritratti degli antenati, le immagini degli imperatori divinizzati – ma aveva scelto i migliori – e delle anime più sante tra cui Apollonio e, secondo quanto dice uno storico a lui contemporaneo, Cristo, Abramo, Orfeo e altri di questo genere. [Traduzione da E. dal Covolo, I Severi e il cristianesimo, Roma 1989, pp. 77-78] 1