Il Poliphilo gode oggi di grande e universale apprezzamento e notorietà, grazie al fatto che testo e immagini corrono strettamente intrecciati lungo i fogli, in una euritmia della pagina che rende il volume un emblema del Rinascimento. L'edizione non ebbe grande successo nel mercato coevo, ma la sua bellezza e il mistero che la pervade l'hanno resa attraente agli occhi dei posteri. Il Poliphilo è enigmatico ed ermetico per molti versi: nella lingua, nella storia, nell'identificazione stessa dell'autore del testo, nella possibilità di riconoscere l'autore dei disegni e gli intagliatori delle xilografie. Anzitutto singolare e anomalo è il fatto che il nome di Aldo e la data «Venetiis mense decembri M.ID. In aedibus Aldi Manutii, accuratissime» compaiono unicamente in calce all'errata corrige finale. La dedica iniziale, inusualmente estranea al Manuzio, è del veronese Leonardo Grassi, verosimilmente il finanziatore, rivolta a Guidobaldo di Montefeltro duca d'Urbino. Il carattere tipografico romano minuscolo e maiuscolo, le iniziali xilografate, e il gusto nella composizione della pagina dichiarano comunque l'autorità di un'edizione aldina.
La Hypnerotomachia di Poliphilo, cioè pugna d'amore in sogno. Dov'egli mostra, che tutte le cose humane non sono altro che Sogno, et dove narra molt'altre cose degne di cognitione:questa è la traduzione del titolo nella riedizione corretta che gli eredi di Aldo fecero uscire nel 1545, avendo mantenuto la possibilità di stampare con i medesimi legni che si erano conservati almeno nella maggior parte. La storia corre, divisa in due libri, lungo il filo di una vicenda amorosa costellata di divagazioni e ambientazioni diverse, intrisa di citazioni, come nelle opere narrative di Boccaccio – quali il Filocolo, l'Ameto, il Filostrato -, o in novelle coeve, ma secondo vicende particolarmente intrecciate a significati oscuri, emblemata e rinvii ermetici. I luoghi dell'Amore costituiscono tappe in un cammino sapienziale. La lingua è un volgare venato di latinismi e grecismi, nel quale si sono volute riconoscere declinazioni venete.
Per l'autore della narrazione, letto l'acrostico formato dalle lettere iniziali dei capitoli, a partire dal Settecento si è proposta l'autorità di Francesco Colonna, domenicano residente a Venezia ai Santi Giovanni e Paolo. Non mancano ipotesi diverse – fra' Eliseo da Treviso, un ipotetico Francesco della famiglia Colonna romana – percorse attraverso una pluralità di riscontri verificati all'interno del testo intricato e sulla scorta della vastità delle conoscenze antiquarie che vi si rilevano. L'autore del testo dovette suggerire anche parte delle figurazioni, mirabili anche nell'intaglio. Fra gli autori dei disegni per le xilografie emerge oggi il riferimento a Benedetto Bordon, o piuttosto all'abilissimo Secondo Maestro del Canzoniere Grifo. Si tratta comunque di una concezione vicina a quella del disegnatore che si occupò dei margini nel manoscritto corviniano contenente la versione latina del trattato d'architettura del Filarete, che negli anni Novanta si trovava presso il convento dei Santi Giovanni e Paolo, e fu poi marciano.
L'esemplare marciano è tirato su carta normale e non postillato (se si eccettuano pochi interventi abrasi ai ff. r1r, 2r). La coperta è stata sostituita nel 1908, con una nuova realizzata sullo stile Maioli dall'esperto legatore d'arte Vittorio De Toldo.
Bibliografia di riferimento:
Susy Marcon