Problemi di handicap nel Web

Flavio Fogarolo
(Ministero Istruzione - CSA di Vicenza)

 

Fino a pochi anni fa ciechi e ipovedenti avevano i loro canali di accesso all'informazione, nettamente distinti da quelli ordinari.

Produrre libri braille o libri parlati o ingranditi era (ed è ancora, per certi aspetti) compito specifico di alcuni centri specializzati al quale la società assegnava il compito di risolvere il problema. Ogni prodotto editoriale, libro o giornale, aveva i suoi destinatari ben definiti, senza possibilità di confusione: il libro in braille era solo per i ciechi, quello stampato a inchiostro solo per chi ci vede sufficientemente bene.

Con l'informatica questa separazione viene improvvisamente meno: il documento digitale è sempre lo stesso ed è indipendente dal "mezzo".
Sarà l'utente finale a decidere come renderlo consultabile: a schermo o su carta (con caratteri piccoli, grandi, molto grandi...) ma anche in voce o in braille. Una rivoluzione non da poco.

Si parla spesso di "barriere informatiche", ma in realtà in questo campo l'informatica ha consentito di eliminare barriere fisiche considerate del tutto naturali e quindi invalicabili. Se dobbiamo oggi parlare di accessibilità e di barriere è perché, purtroppo, il processo non è ancora compiuto.

Il problema non è infatti solo tecnico ma legato a tutta la produzione e la gestione dell'informazione e coinvolge quindi un numero molto elevato di persone. Per questo, anche se le competenze e le attenzioni richieste non sono elevatissime, è difficile eliminare tutti gli ostacoli che a volte per sbadataggine o scarsa conoscenza del problema, vengono inseriti in una catena di distribuzione delle informazioni che, per sua natura, sarebbe pienamente fruibile da tutti.

Creare documenti elettronici accessibili a chiunque non è difficile ma richiede un minimo di attenzione anche da parte della persona che li produce. Un lavoro veramente complesso lo hanno fatto in questi ultimi anni coloro che hanno progettato e realizzato le tecnologie speciali che oggi consentono praticamente a tutti di usare il computer con piena soddisfazione. E i disabili stessi che con pazienza e determinazione, spesso con grossi sacrifici, hanno imparato a servirsene correttamente. A chi distribuisce informazioni si chiede solo di non sbarrare inutilmente la porta, di garantire cioè l'accessibilità.

L'accesso da parte di tutti ad un'unica fonte di informazione è una rivoluzione radicale che ricorda, soprattutto per i suoi aspetti culturali, quella che con l'eliminazione delle barriere architettoniche ha visto in pochi decenni stravolgere il modo abituale di progettare gli edifici. L'idea di costruire tenendo conto anche delle esigenze di esigue minoranze (che poi, a conti fatti, tanto esigue non sono) richiede una profonda evoluzione sociale e la condivisione davvero generale, in tutta la popolazione, di fondamentali principi di cittadinanza.

Nell'Informatica i principi dell'accessibilità sono stati conosciuti e accettati, tutto sommato, assai più velocemente. Un po' perché in questo campo tutta l'evoluzione è sempre stata molto veloce ma soprattutto perché la vera rivoluzione, quella culturale, era già avvenuta anni prima nella scuola, nei posti di lavoro, di svago, nei trasporti ecc.

Ma i problemi non mancano. Il principale è dato dalla scarsa conoscenza, da parte di molti sviluppatori, delle tecniche alternative usate da ciechi, ipovedenti, disabili motori per accedere al computer.
Molti non hanno mai visto usare un display braille, una sintesi vocale, un mouse comandato dalla voce o altro.
È come se un architetto progettasse un edificio basandosi solo su norme e tabelle tecniche (larghezza delle porte, pendenza delle rampe...) , senza aver mai visto in vita sua una persona su sedia a ruote. Il rischio di applicare le regole in modo meccanico e fiscale, senza considerare complessivamente le reali esigenze degli utenti, sarebbe veramente grosso.

Ed è questo che spesso succede quando si lavora sull'accessibilità dell'informazione digitale.
Le norme infatti ci sono, esaurienti e ben fatte.
Ci sono anche degli strumenti automatici di validazione in grado di dire velocemente allo sviluppatore se quelle norme sono state rispettate e dove si deve intervenire. Ottima cosa, ma purtroppo non basta.

Non tutto si può definire in termini di numeri o prescrizioni tecniche. Molti ostacoli derivano invece dalla scarsa attenzione a principi puramente qualitativi come la scelta di colori, l'organizzazione di una pagina, la scelta di strumenti efficienti di navigazione. Un caso davvero emblematico è quello della leggibilità.

Non è raro riscontrare, anche in siti che ostentano attenzione ai problemi dell'accessibilità (vedi "bollini" di validazione di vario tipo), una scarsa attenzione per chi ci vede poco e usa il computer senza ricorrere a strumenti particolari, ma semplicemente ingrandendo i caratteri con le normali funzioni del browser; il documento elettronico deve offrire sempre questa possibilità e fornire un testo graficamente chiaro, ben contrastato e impaginato.

È molto diffusa invece l'abitudine di usare nel web colori tenui, scritte sfumate, giochi di colori basati su toni molto simili... tutte cose che mettono in difficoltà chi non ha la vista perfetta. Considerando il numero di utenti coinvolti, la scarsa leggibilità dei testi è senza dubbio la prima causa di inaccessibilità dei siti web.

L'attenzione all'utente, ai sui bisogni, alle sue esigenze, alle sue tecniche e strategie di accesso è quindi molto importante. Sono concetti, si sa, ben sviluppati nel campo dell'usabilità e da tener presente anche quando si parla di utenti con esigenze particolari.
Ma con qualche accortezza.
Anche se, come abbiamo visto, non può essere sufficiente per risolvere tutti i problemi, il rispetto di alcuni criteri chiari e ben definiti è comunque una condizione prioritaria. Un sito costruito in questo modo potrà dirsi inequivocabilmente "accessibile".

Sarebbe molto pericoloso dare l'impressione che l'accessibilità sia un obiettivo vago, indefinito e quindi di fatto irraggiungibile.

E' fondamentale quindi definire bene delle norme da rispettare e chiarire che se si rispettano certi standard un sito può dirsi accessibile.

Le linee guida WAI rappresentano proprio questo discrimine di primo livello e sono quindi un importantissimo punto di riferimento, fondamentale ogni qualvolta è necessario definire in modo il più oggettivo possibile cosa è accessibile e cosa non lo è. Ma se puntiamo al pieno raggiungimento degli obiettivi di questo processo di integrazione, un approccio che si limiti a verificare il rispetto una lista predefinita di punti di controllo non è più sufficiente. Occorre partire veramente dall'utente, mettersi nei sui panni, prevedere (e prevenire) le sua difficoltà.

In questo senso credo si possa parlare di usabilità anche per utenti con esigenze speciali.
Non si tratta di raccomandare un'accessibilità particolarmente rigorosa ma di ragionare anche in questo caso in termini di efficace e qualità del servizio, ossia della comunicazione.

Perché un conto è il rispetto di alcuni standard minimi di accessibilità (vedi norma WAI) un altro, ben diverso, è cercare di innescare un processo in grado di elaborare in continuazione i risultati della propria azione e di progettare sempre nuove iniziative per migliorarne la qualità.

Questo è l'approccio dell'usabilità, un approccio certamente utile anche nel campo della disabilità.

11/11/2002