Dislessia: un problema comune? 3 dicembre 2010 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana Filippo Barbera Riassunto dell'intervento Leggere e scrivere sono attività così semplici e automatiche che risulta difficile comprendere la fatica di un bambino dislessico, come difficile risulta trovare le strategie e gli strumenti efficaci per compensare il disturbo. Il mio intervento vuole concretizzare questi aspetti, presentando non tanto la storia specifica di Filippo Barbera, quanto cercare in una storia di dislessia quegli elementi che possono essere utili agli insegnanti per agevolare il loro lavoro, fermo restando che nessun dislessico è uguale ad un altro. Sulla Dislessia e sui Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA) si è scritto e si scrive molto, esistono diverse definizioni e spiegazioni di questi termini. Io non voglio entrare in questo dibattito dando una mia definizione, ma voglio lasciarvi un'immagine concreta. La dislessia è una compagna, che segue il dislessico per tutta la vita. Come nei normali rapporti di coppia ci sono momenti positivi e negativi. È importante, però, aiutare il bambino a negoziare in modo pacifico con questo problema. Attualmente le soluzioni per favorire questa convivenza sono due: misure dispensative e misure compensative. Spesso, poi, sulle misure compensative si fa grande confusione, perché si pensa che basta dare il computer in mano ad un bambini per risolvere il problema. Niente di più falso. Se si vuole veramente aiutare il dislessico bisogna portarlo a sviluppare le competenze compensative. Il professor Flavio Fogarolo, nel suo ultimo lavoro, ricorda che le misure dispensative rappresentano una presa d'atto della situazione e hanno lo scopo di evitare, con una adeguata azione di tutela, che il disturbo possa comportare un generale insuccesso scolastico, mentre la compensazione rappresenta un'azione che mira a ridurre gli effetti negativi del disturbo per raggiungere comunque prestazioni funzionalmente adeguate. Il problema vero è che sviluppare competenze compensative richiede un enorme impegno e sacrificio al dislessico, alla famiglia e alla scuola. Io dico sempre ai bambini e ragazzi dislessico di avere fede, perché i risultati non arrivano né oggi né dopo pochi mesi, ma arrivano dopo anni. Porto sempre questo esempio: io ho imparato a scrivere correttamente in italiano in terza superiore. Quindi, se facciamo un po' di conti ci accorgiamo che di tempo ne è passato molto! Si dice spesso che per aiutare il dislessico serve una diagnosi precoce, il sostegno della famiglia e un insegnante competente. Non si dice mai, però, che l'elemento chiave sta nel ragazzo, nel bambino. Solo se lui vorrà migliorare, potrà effettivamente farlo. La mia determinazione a diventare "bravo" - e nel mio libro "Un'insolita compagna: la dislessia" ne parlo esplicitamente - mi ha spinto a trovare diversi sistemi per raggiungere il risultato. Per questo è importante lavorare sulla motivazione del dislessico e cercare con lui un obiettivo che lo possa condurre alla vittoria. Perché io sono fermamente convinto del fatto che la dislessia non vada accettata, ma combattuta. È bene chiarirlo: al dislessico non devi regalare nulla, devi solo aiutarlo a trovare un'altra strada per raggiungere lo stesso risultato di un compagno normodotato. Nella tecnologia sicuramente si può trovare un aiuto, ma non c'è solo quella ed è per questo che invito i docenti a ripensare ad una didattica del buon senso.