Biblioteca Nazionale Marciana
Venezia
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Catalogo della mostra
Venezia nelle fotografie di Carlo Naya della Biblioteca Vallicelliana
    

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Introduzione

La pianta prospettica di Venezia, cromolitografia del 1850 circa, è fotografata da Carlo Naya, come se la ripresa fosse eseguita dall'alto, da una mongolfiera, più che a volo d'uccello, da un'altezza per quei tempi impossibile da raggiungere. Infatti tutta la città è compresa nell'inquadratura, con la Giudecca, l'isola di San Giorgio e quella di Murano, mentre sullo sfondo si delineano le Alpi, la Marmolada e le Dolomiti. Non si tratta quindi di una fotografia dal vero, ma di un'opera delle arti figurative, riprodotta fotograficamente.

La fotografia non era nuova, nella seconda metà dell'Ottocento, a queste soluzioni, allo stesso modo infatti aveva risolto la riproduzione della piazza di San Pietro in Roma, con l'intero portico berniniano e la vista della basilica vaticana con la grande cupola michelangiolesca, appunto fotografando un disegno di poco anteriore.

Anche diverse scene di combattimenti, avvenuti in conflitti che avevano segnato la storia d'Europa, erano stati riportati in fotografia, riprendendo disegni già noti, per esempio alcune battaglie napoleoniche e financo la partenza dei Mille da Quarto. Non era contraddittorio quindi per la fotografia, e per il fotografo, fotografare non la realtà vera, la scena del mondo, ma la sua raffigurazione delineata dalla mano di artisti, che s'erano serviti della matita o del pennello o del bulino.

Anche nella ritrattistica, dopo l'invenzione di Disderi, nelle carte de visite ritroviamo i ritratti fotografici di sovrani, principi e personaggi famosi, come i ritratti disegnati di quegli illustri, che di sé non avevano potuto lasciare alcuna immagine fotografica.

È quindi da osservare che tanto il fotografo non si peritava di mettere insieme riprese fotografiche dal vero con quelle di immagini della più antica tradizione figurativa, quanto l'osservatore di tutte queste, il fruitore, non si meravigliava di ammirare la fotografia riproducente quanto si era offerto, realmente, all'obbiettivo della macchina fotografica, come ciò che era derivato da altra opera preesistente.

Pur nella differenza del livello di verità le due dimensione della raffigurazione fotografica convivevano senza problemi, alla luce di una maturità di giudizio, sia del fotografo che dell'osservatore, che forse oggi, andata perduta con il perfezionamento della tecnologia fotografica e con la convinzione che la fotografia sia legata unicamente alla realtà viva del mondo, è stata recuperata prima dalle avanguardie sia delle arti che della fotografia e oggi dalle possibilità della digitalizzazione.

Certo nei giorni nostri tutto è concettualmente e non solo tecnologicamente più complesso, ma proprio in immagini riproducenti disegni altrui possiamo rintracciare le radici che conducono al dibattito sulla verità dell'immagine fotografata. Così s'apre il fondo veneziano di fotografie all'albumina, opera di Carlo Naya e del suo atelier, conservato nell'Archivio Fotografico della Biblioteca Vallicelliana a Roma, insieme ad altri fondi, non meno preziosi, agli antichi manoscritti miniati, al grande patrimonio librario di storia della Chiesa, che orna e arricchisce il salone Monumentale disegnato da Francesco Borromini per i padri oratoriani, istituiti da San Filippo Neri.

Le altre immagini di Venezia, che qui sono pubblicate, fanno parte del più ricco catalogo di Carlo Naya, messo insieme nel corso della sua attività, dove appare, ben delineata, la sua qualità di vedutista per la precisione e l'equilibrio dei volumi che occupano lo spazio dell'inquadratura, per il gioco alternato di ombre e luci, che danno non solo corpo a quanto vediamo, ma gli restituiscono la necessaria profondità di campo e quindi permettono una maggiore e più convincente percezione della realtà materiale dei luoghi della città

Nelle fotografie più antiche Carlo Naya, come gli altri fotografi, non può riprendere il movimento continuo delle onde della laguna, sia davanti al bacino di San Marco che nei rii della città, come nel Canal Grande. Tutto questo fa sì che le acque risultino come un lucido specchio, immobile, dal sapore quasi metafisico, dove, se il fotografo desisteva dall'intervenire con il ritocco, ne risultava un più alto spessore di quella realtà di sogno ad occhi aperti, che per tanti turisti, e non solo, caratterizza ancora oggi l'identità romantica di Venezia.

Non manca nelle fotografie di Naya la presenza, cosiddetta "animata", delle persone, che tra il 1860 e il 1870 sempre più l'emulsione e l'ottica fotografica riuscivano a fissare meglio se in posa, ad osservare il lavoro del fotografo, ma, talvolta e non raramente, anche di passaggio, ad animare appunto il campo, la calle o piazza San Marco.

L'animazione fotografica interviene nella fotografia dopo la metà dell'Ottocento e preannuncia il movimento del cinema, cioè risponde alla richiesta del pubblico di osservare non solo il luogo, ma chi lo vive e lo abita, che è segno particolare di quella sola realtà.

Venezia in quegli anni viveva del ricordo del suo splendore, tanti palazzi del patriziato cadevano in un progressivo abbandono, mentre si inauguravano i primi grandi alberghi e il turismo borghese cominciava a organizzare il viaggio a Venezia, sia quello nuziale che quello di visita culturale e artistica alla più bella città d'arte del mondo.

Ma nei sestieri popolari, nelle calli solitarie la povertà era evidente e questa non appare nelle fotografie vallicelliane di Naya, che privilegiano la Venezia monumentale e quella caratteristica, dove il folclore è solo accennato, mentre è la città, che con la varietà, ma anche l'uniformità, dei suoi angoli, delle sue prospettive, delle sue calli e dei suoi rii, dei suoi campi e di piazza San Marco si rivela affascinante e invitante.

Carlo Ponti, che ebbe poi vicende varie con Carlo Naya, come ci racconta in questo catalogo Valeria Palombini, o Antonio Perini fissarono i costumi popolari dei mestieri ambulanti veneziani, quelli delle cinquecentesche e seicentesche grida di strada, ma i turisti, affascinati e catturati dalla magia della Serenissima, preferivano chiedere a Carlo Naya, come agli altri fotografi, immagini souvenir di Venezia, albumine nei più diversi formati e album, di lusso o più modesti, dove apporle e anche fotografie steroscopiche della città, per rivivere così pienamente l'emozione della visita.

Da ammirare sono infine le immagini con le barche da pesca e da trasporto, i bragozzi, non solo quelle con le gondole, perché in esse si riverbera l'ultimo, inscindibile legame della Serenissima con il mare, di cui fu dominatrice per secoli, fino alle lontane terre dell'Asia Minore.

Le ultime fotografie, pur siglate Carlo Naya, mostrano la Venezia successiva alla sua morte (1882), con i grandi alberghi del Lido, gli stabilimenti balneari e il tram. Queste immagini vallicelliane confermano il debito di eredità che la fotografia veneziana deve a Carlo Naya, maestro della fotografia dei viaggiatori, ma anche attento osservatore e innamorato dell'immagine e dell'identità della sua Venezia.

Alberto Manodori Sagredo

Bibliografia
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Zannier I. (a cura di), Venezia al chiaro di luna, Maniaco, CRAF, 1995

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URI: http://marciana.venezia.sbn.it/naya/introduzione.html